Ci si propone di studiare le figure femminili comprese tra il 1880 ed il 1938/39, ovvero fino agli albori della seconda guerra mondiale. Le figure femminili sono però analizzate da scrittori, e non da scrittrici, perché in questo periodo gli scrittori hanno un peso culturale più rilevante. In questo arco di tempo emergono tutti i “topos” della figura femminile, ad eccezione di quello femminista, che farà il suo ingresso sulla scena soltanto negli anni ’70.
Alla fine dell’Ottocento la donna ha un ruolo casalingo, ma si riscatta già con Casa di bambola di Ibsen: Nora si riscatta dalla funzione “decorativa” che prima il padre e poi il marito le avevano assegnato. Già Darwin aveva considerato la donna un essere inferiore all’uomo, fisicamente ed intellettualmente, e simile alla struttura mentale degli esseri extraeuropei. L’esclusa di Pirandello s’inserisce sulla stessa linea del dramma di Ibsen, anche se a Pirandello interessa il tema specifico della drammatica ricerca dell’identità. Angiolina in Senilità di Svevo è una figura che sfugge allo sguardo maschile, come Ghisola in Con gli occhi chiusi di Federico Tozzi. Il protagonista maschile non riesce a comprendere la complessità della donna. S’inizia a concepire la donna non come alterità: l’alterità è falsa. Ciò trova dimostrazione concreta negli anni della “grande guerra”: la donna lavora e l’uomo va in guerra: è la donna che porta avanti la famiglia, e non è quindi “altro” o inferiore rispetto all’uomo.
Una tipologia di donna del periodo considerato è quella della “femme fatale”, della “donna fatale”, come “La lupa” verghiana: è la donna desiderosa di sessualità, che diventa “madre assassina”, come in Tortura di Capuana, in cui la madre uccide il figlio. Alla “donna fatale”, riconosciuta in Eva dall’immaginario collettivo, si oppone la “madre accogliente”, il cui prototipo è Maria. A Maria si affianca la “dea-madre”, ad Eva la “bambina”. Eva e la bambina sono entrambe sterili, ma entrambe “infuocate” di sessualità, mentre Maria e la “dea-madre” sono figure benevole, amorose, materne. Si può affermare, quindi, che lo schema è il seguente:
femme fatale: Eva-àbambina (amante);
Maria (madre accogliente)-àdea-madre.
Negli anni del fascismo la donna riprende la propria funzione domestica, di essere sottomesso all’uomo. La “donna forte”, che diventa uomo, sin dalla fine dell’Ottocento, è invece identificata con la vedova.
Anche la musica, ed in particolare il melodramma, sono importanti per la donna: la “Lulu” di Berg è il prototipo della “femme fatale”, mentre Debussy va ricordato per la “donna-bambina”; la “Maria” di Berg e la “Donna senz’ombra” di Hoffmann rappresentano la donna vittima e carnefice al tempo stesso; Odille ne “Il lago dei cigni” di Chaykovskij è la “femme fatale”, contrapposta a Odette, che è la brava madre; la “femme fatale”, in campo teatrale, trova magnifica rappresentazione in Salomèdi Oscar Wilde.
La “bambina” è una figura “appiattibile”, non pericolosa, bramata dall’uomo maschilista, è la donna di Umberto Saba (cfr., dal Canzoniere, “Sovrumana dolcezza”, “A mia moglie”, “Io non credo alla donna” ). La “donna-angelo” è invece simile alla “dea-madre” ed è completamente diversa dalla donna angelicata dello stilnovo. Ne La casa di Bernarda Alba di Federico Garcìa Lorca emerge invece la “donna fatale”. Prendiamo in esame le suindicate poesie sabiane.
“Sovrumana dolcezza”: è una poesia erotica, considerata la migliore dallo stesso Saba, in cui l’”eros” è legato al “tanatos”, l’amore alla morte perché l’amore porta alla morte.
“A mia moglie”: Lina è la moglie di Saba. Lina ha salvato Saba, che era stato arrestato, chiedendo la grazia al governatore d’Austria. La donna è paragonata ad una gallina che si lamenta, è paragonata alla giovenca, altro animale lamentoso. Saba ironizza qui sulla rondine, che in autunno parte: ma la donna non parte, resta, è una “donna bambina”, che della donna presenta solo “movenze leggere”.
“Io non credo alla donna”: le fanciulle di Saba ( Paolina e Chiaretta sono le donne del Canzoniere ) sono tutte appiattite su un’unica fanciulla: la donna o è madre o è bambina. Le donne sono tutte simili ( cfr. “Forse un giorno diranno”, su Paolina ). Si noti che le poesie di Saba, sul piano metrico, sono tutte molto curate.
In una quarta poesia sabiana che possiamo citare, il poeta si apre ad un’evoluzione, c’è quasi un rapporto paritetico con Lina: si tratta di “Donna”.
Il Canzoniere di Saba è un’opera autobiografica che necessita di un approccio psicoanalitico di tipo freudiano e junghiano che ritroviamo in Tozzi, come emerge nella novella “Un’allucinazione”. Si notano qui forti tratti di espressionismo, si tratta di una “donna fantasma”, di un’astrazione, che nasce e muore per il protagonista. La moglie è il “principio di realtà”, ma vive a Siena ed il protagonista si accontenta di scriverle, mentre l’amante è il “principio del piacere”, ma non esiste, o meglio esiste solo nell’angosciosa immaginazione del protagonista, che non arriva ad una piena maturità, ma s’innamora di una “cornice vuota”. In Con gli occhi chiusi la figura del padre è castrante, e la madre, Ghisola, mette il figlio in gara con il padre. In questo senso si comprende l’importanza di Tozzi, un autore che non entra nel “canone” degli autori trattati sui banchi di scuola.
Gabriele D’Annunzio, nei suoi romanzi, fa continui riferimenti alla “femme fatale”: tra l’uomo e la donna, ne Il trionfo della morte, vince però la donna, o meglio la sensualità, sull’uomo, ovvero sul superuomo. Questo romanzo segna infatti la sconfitta del superuomo di fronte ai sensi. Giorgio Aurispa è il protagonista, aspirante superuomo dionisiaco sconfitto. Il superuomo dannunziano è il sostenitore di una politica di dominio sul mondo, supera le comuni categorie morali di bene e di male, facendo propria, in questo caso, la vulgata nietzscheana ( in seguito da D’Annunzio fraintesa, come è noto ). La donna è una creatura panica, è identificata con i sensi, la voluttà, è superiore all’uomo ( “La superiorità di quell’esistenza era palese”, afferma D’Annunzio ). Il linguaggio dannunziano in questo romanzo è aulico, raffinatissimo e musicale ( “ apparire simile ai simulacri della Bellezza antica inchinati sul cristallo armonioso di un ellesponto “, scrive D’Annunzio ). La “femme fatale” dannunziana è però sterile ( “Mancava alla donna amata il più alto mistero del sesso: << la sofferenza di colei che partorisce >>. La miseria di entrambi proveniva appunto da questa mostruosità persistente”, sostiene l’autore ). Sul piano linguistico, il brano è ricco di allitterazioni e di figure retoriche. Si noti che nella lirica dannunziana il tema della sconfitta del superuomo è assente, mentre è presente nei romanzi.
Eugenio Montale, in un “Mottetto” tratto da Le occasioni, sostiene che la donna è un angelo che rappresenta il tramite per l’evoluzione intellettuale: la concezione montaliana della donna angelicata è diversa da quella stilnovista. Il poeta, nei confronti della donna-angelo, è nella condizione di colui che deve imparare, perché l’uomo è lacerato dal turbine della storia ( “hai le penne lacerate dai cicloni”, scrive Montale ). In D’Annunzio ed in Montale, nonostante le indubbie differenze sulla visione della donna, si nota un elemento comune: la donna come “alterità”, come “altro” dall’uomo; sia per D’Annunzio che per Montale l’uomo apprende dalla donna, non c’è comunicazione. Nello stilnovo, invece, la donna era un mezzo di elevazione morale da non descrivere neanche fisicamente.