Tra i temi fondamentali, su cui si sono sempre confrontati i poeti, affiora quello dell’esistenza. La riflessione sulla vita appartiene all’esperienza del singolo: prima o poi sorgono in tutti gli interrogativi sul senso della vita, della morte, del tempo, del dolore.
Il tema del dolore ha affascinato anche i poeti appartenenti al panorama letterario italiano. Tale sentimento può essere presente nell’animo del poeta perché suscitato dalla morte del padre (X Agosto di G. Pascoli) o per la morte di un fratello o di un figlio (Il dolore di G. Ungaretti) generato dal malessere di una società (La capra- Prima fuga di U. Saba – Spesso il male di vivere ho incontrato di E. Montale).
Occorre puntualizzare che nella maggior parte dei casi si tratta comunque di dolori individuali che diventano universali.
Il titolo della poesia X Agosto (G. Pascoli) ha un preciso rapporto con la tragedia personale del poeta: l’uccisione del padre avvenuta il 10 agosto 1867. Anche qui il sentimento del dolore diventa universale: il 10 agosto è anche secondo la tradizione popolare il giorno in cui si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. Le stelle sembrano incendiarsi e precipitare dal cielo; così il cielo sembra partecipare al dolore del poeta per l’uccisione del padre:
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Il poeta però proietta il suo dolore e la tragedia familiare in una dimensione cosmica: la similitudine dell’uccisione del padre e quella della rondine, vittime innocenti, diventa il simbolo dell’ingiustizia, del dolore, del male universale
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini…
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero; disse: Perdono
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono
La fitta punteggiatura, le frasi brevi e la frequenza delle forme verbali creano un ritmo drammatico, concitato che sottolinea il dolore del poeta e la repentinità della morte che non consente all’uomo neppure di emettere un grido, anche se la rima (nido/grido) mette in rilievo il drammatico conflitto avvertito dal poeta tra la positività dei sentimenti positivi simboleggiati dal <<nido>> e il dolore espresso dal <<grido>>.
La parola cielo dell’ultima strofa rinvia al concetto di poesia cosmica di Pascoli. Essa sembra contrapporsi alla parola <<mondo>> negativo. Ma ciò solo apparentemente: è vero che il mondo atomo opaco è la metafora di un tragico calvario dove si consuma la crocifissione degli innocenti ma è anche una presenza lontana, inaccessibile, impotente davanti al male e al dolore dei viventi.
Nella lirica La capra di Umberto Saba il dolore supera la dimensione individuale e diventa collettivo
Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
La lirica si apre con un’apparenza di celia, di scherzo; l’immagine del poeta che parla con la capra rientra nel sentimento di intima partecipazione al mondo animale e il tono in primis suscita sorriso. Proseguendo però nella lettura, avvertiamo un mutamento repentino di tono: gli elementi sola, legata, bagnata implicano una condizione esistenziale di profonda desolazione, di sofferenza che non è solo fisica ma interiore. La capra era sazia eppure belava, espressione di una pena di vivere che persiste nonostante il soddisfacimento di bisogni materiali.
Nella seconda strofa il gioco allegorico diventa più evidente. In particolare la ripresa belava-belato consente il passaggio dalla sfera oggettiva a quella soggettiva, primo livello della rappresentazione simbolica, in cui la pena dell’animale si scopre affine a quella che tormenta il poeta evidenziata dall’enjambement era fraterno al mio dolore che conferisce un particolare rilevo al tema. La pena di Saba si fa specchio e risonanza della pena eterna e universale che unisce tutte le creature, le quali danno voce al dolore di vivere in modi differenti eppure riconoscibili. La fraternità universale si rivela dunque come una fraternità radicata nel comune dolore. La voce eterna del dolore si incarna, così nell’epilogo, in una realtà collettiva, solidale e dinamica che supera l’individualità dell’esordio, abbracciando l’intera storia degli avvenimenti umani in un’unica dimensione di fraternità nella pena e di partecipazione profonda del poeta.
Nella parte centrale della poesia dal titolo “Prima fuga” Umberto Saba sviluppa il tema del dolore che non è negato da una voce ottimista, la quale riconosce che
La vita è un lungo errore e tu lo sconti
quotidianamente con sofferenza e delusioni. Al contempo però essa afferma di scontarlo nelle persone, nei mansi animali affaticati (vv. 27-28): il dolore è assunto in una sorta di condivisione che lo illumina e gli dà un senso. Dunque nel dolore le due voci si fanno più vicine, si incontrano: il pessimismo più cupo si ribalta in una solidarietà, condivisione fraterna, comunione profonda
Io sono
in essi, ed essi sono in me e nel giorno
che ci rivela…
Io soffro; il mio dolore,
lui solo, esiste.
Questo aspetto dilata i confini della poetica di Saba: ascoltando le sue voci più intime, egli vi scorge l’esperienza di tutti gli uomini e così allarga la dimensione della sua lirica da un piano esclusivamente interiore a un piano collettivo e storico.
Anche le poesie scritte da G. Ungaretti in memoria di un fratello o per il figlio scomparso prematuramente, contenute nella raccolta Il dolore, rievocano l’angoscia dello scrittore
Tutto ho perduto dell’infanzia
E non potrò mai più
Smemorarmi in un grido.
L’infanzia ho sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora, spada invisibile
Mi separa da tutto…
Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
arrestata in fondo alla gola,
che una roccia di gridi.
Oggetto di questa lirica è solo in apparenza il fratello del poeta Costantino, di cui è rievocata la morte prematura; in realtà, come si ricava dallo stesso verso (di me rammento) il poeta parla di sé e del dolore per la giovinezza perduta, di cui il fratello, ora scomparso, fu uno dei testimoni diretti. L’esperienza della vita, della storia e del dolore infatti come una spada invisibile lo separa da tutto, sprofondandolo nel buio di una notte che già prefigura l’incombere minaccioso della morte.
Con l’espressione della prima strofa smemorarmi in un grido il poeta vuole annullare la memoria del dolore attraverso lo sfogo liberatorio del grido, come fanno i bambini. Il grido, dunque che nel bambino è una manifestazione intensamente vitale, farmaco che preserva dal male di vivere ora, nell’uomo adulto, in seguito all’esperienza del dolore si è arrestato in fondo alla gola, pietrificato in un nodo di angoscia dal quale non è più concesso liberarsi.
Anche per Ungaretti però il dolore non è mai solo quello individuale: infatti nella lirica dal titolo Non gridate più il discorso non rimane circoscritto all’interno di un dolore individuale, ma si apre verso gli altri, sottolineando il passaggio dal registro personale al registro della storia.
Cessate d’uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire
se sperate di non perire…
Nella poesia di E. Montale il male di vivere coincide con una sofferenza di tutte le cose che provocano grande dolore nell’animo umano: una condizione esistenziale determinata dalla “bufera” della guerra e proiettata verso una ricerca di una via di scampo, nel desiderio di vincere l’angoscia per riconsegnare all’uomo il dono della felicità (Spesso il male di vivere ho incontrato)
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavalo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
Che schiude la divina Indifferenza…
La prima quartina è esemplificativa del male di vivere, dell’inquietudine, del dolore e del disagio dell’uomo contemporaneo. Nell’apertura della lirica, Montale collega una disposizione esistenziale il male di vivere con un atteggiamento concreto ho incontrato. Poi, nella seconda quartina, ne indica un rimedio, una specie di antidoto: la divina Indifferenza. Essa è l’unica possibilità per non lasciarsi toccare dal dolore, che invade ogni aspetto della vita espresso attraverso dei correlativi oggettivi (era il rivo strozzato che gorgoglia/era l’incartocciarsi della foglia/riarsa, era il cavallo stramazzato). Quindi il poeta sceglie degli oggetti concreti e li fa corrispondere a precise sensazioni.
La tematica del dolore analizzata nelle liriche del Novecento affonda le sue radici non solo nelle esperienze tragiche personali dei singoli poeti ma riflette i processi storici che hanno caratterizzato la storia del Paese e le conseguenze dolorose lesive della dignità umana..
La seconda guerra mondiale e l’Olocausto
Molti sono stati i dibattiti che hanno cercato di stabilire le colpe e le cause di questo secondo conflitto, a cominciare dal processo di Norimberga, dove con i vinti sul banco degli accusati e i vincitori come giudici ed accusatori, si è voluto attribuire tutte le colpe ad Hiltler e alla sua Germania nazista. Oggi invece si è concordi nel ritenere che, pur attribuendo grandi responsabilità alla Germania e al suo leder, una serie di concause agevolarono la nascita del conflitto.
L’avvento del nazismo, sin dall’inizio, si mostrò come fattore destabilizzante; le idee di dominio hitleriane apparivano sproporzionate rispetto alle possibilità di un paese male armato e limitato nell’esercizio della sua sovranità su aree stesse del suo territorio come la Renania.
Le occasioni di contrasto non tardarono: gli obiettivi erano Danzica e Memel, città in territorio polacco e lituano. La loro alta densità di popolazione tedesca le rendeva agli occhi di Hitler di appartenenza tedesca; il patto firmato il 23 agosto del 1939 tra russi e tedeschi di non aggressione consentì ai russi di tenersi fuori da un possibile conflitto tra le potenze occidentali e ad Hitler di superare le ultime perplessità sull’attacco alla Polonia che avvenne il 1 settembre 1939; il 3 dello stesso mese Francia ed Inghilterra erano loro malgrado costrette a dichiarare guerra.
Il fronte polacco realizzò i piani strategici di Hitler: una guerra lampo, con rapida penetrazione tedesca nel territorio polacco. Questa rapidità delle operazioni era indispensabile per assicurare lo spazio vitale, le materie prime e le risorse necessarie per sostenere la successiva aggressione degli alleati, che, dal canto loro, avevano adottato una strategia difensiva per poi passare ad una seconda fase offensiva e isolare la Germania.
Il 17 settembre 1940 la Russia occupò la Polonia, annettendo poco dopo la Finlandia, Danimarca e Norvegia. L’Inghilterra cercava di difendere le rotte atlantiche e la Francia si assesta sulla linea di difesa immaginaria (linea Maginot) posta sui confini rivolti verso la Germania.
La guerra francese durò solo 11 mesi. La capitolazione si ebbe nel maggio del’40 quando i tedeschi aggirarono le linee difensive. Il 22 giugno venne firmato un armistizio tra tedeschi e il governo del generale francese Petain, con cui tre quarti della Francia passavano sotto l’amministrazione tedesca, mentre l’aerea centromeridionale costituiva una sorta di stato con capitale Vichy.
Nel mese di giugno Mussolini si affretta a dichiarare guerra alla Francia e all’Inghilterra, fiducioso di ottenere una facile vittoria a basso prezzo: sulle frontiere alpine i francesi non solo resistettero ma contrattaccarono con efficacia, costringendo i fascisti all’armistizio il 24 giugno dello stesso anno.
Sconfitte venivano raccolte nel ’40 sul mare, al largo della Calabria e di Creta, in Africa, in Grecia, paese con dittatura fascista che si era mantenuto neutrale sino ad allora. La Germania, visti i risultati italiani, apportò il proprio contributo sul Mediterraneo riconquistando la Cirenaica, l’Egitto e la Grecia.
Mentre si acuisce il conflitto nell’Europa settentrionale, il 22 giugno del 1941 si realizza l’operazione barbarossa che porterà all’aggressione tedesca della Russia, inevitabile per la realizzazione dei sogni di Hitler e per la contemporanea conquista di Jugoslavia, Grecia e Bulgaria, obiettivi dei Russi.
Il 1942 rappresenta l’anno della svolta: sul fronte africano gli italo tedeschi il 27 maggio attaccano e conquistano El Alamein, vicino Alessandria d’Egitto. Il 23 ottobre dello stesso anno però gli angloamericani la riconquistano e, dopo dieci giorni, sfondano le linee di difesa italo tedesche; il 7 novembre del 1942 le truppe americane e inglesi sbarcano nel Marocco ed in Algeria e, successivamente, anche in Tunisia.
E così che si prepara dall’Africa l’attacco all’Italia, l’anello più debole dell’Asse italo-tedesco-nipponico. Sarà nel convegno di Casablanca che gli Alleati (gennaio del’43) decidereranno di combattere sino alla resa incondizionata di Germania, Italia e Giappone.
Sul fronte russo l’offensiva tedesca, arrestatasi in inverno, riprende l’8 maggio con una serie di occupazioni: Rostov, Sebastopoli, Voronesc.
Sul fronte del Pacifico, l’avanzata delle truppe giapponesi era fulminante: in pochi mesi cadevano Malesia, Singapore, Indocina, le Marianne, parte delle Aleutine, le Indie olandesi. I giapponesi vincevano grazie al loro invincibile esercito e conquistavano territori ricchi di materie prime.
La strategia nipponica si dovette arrendere però alla potenza industriale dello stato americano. I successi americani si susseguirono, pur con perdite di uomini e di mezzi.
Il 13 maggio del 1943, il corpo di spedizione italo-tedesca scompare dalla Tunisia e dall’Africa e inizia un bombardamento aereo su tutta l’Italia con lo sbarco in Sicilia il 10 luglio di un’armata inglese e una americana e la conquista dell’isola.
Durante l’inverno 1942-43, l’offensiva sovietica disintegrò il corpo di spedizione italiano e le truppe dell’Asse subirono una sconfitta nella battaglia di Stanlingrado (febbraio 1943). Il Gran Consiglio del fascismo diede ogni responsabilità a Mussolini e il re Vittorio Emanuele III ordina l’arresto del duce.
Il nuovo governo viene affidato al maresciallo Pietro Badoglio, che garantisce l’alleanza ai tedeschi, creando le basi per un armistizio con gli angloamericani.
L’8 settembre del 1943 viene siglato l’armistizio e il re e Badoglio fuggono a Brindisi. L’Italia usciva sconfitta dalla guerra; i tedeschi intraprendono una politica di conquista, provocando la morte di numerose persone, la cattura e la deportazione di altri.
Fino allo scoppio della guerra la Resistenza fu un movimento ideologico antifascista. Nell’autunno nel’43 nacquero diverse formazioni partigiane ispirate a sentimenti antifascisti.
La Resistenza divenne una vera e propria guerra patriottica e raggiunse il carattere di guerra civile quando il Comitato di Liberazione Nazionale combatté contro la Repubblica Sociale italiana di Salò fondata da Mussolini.
Sul fronte italiano la Russia avanzando riconquistava la Crimea, Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, ottenendo il 12 settembre la distruzione della Romania.
Sul fronte italiano, nel mese di maggio, vengono ripresi gli sforzi degli alleati per sfondare la linea gotica, una fascia difensiva che i tedeschi avevano creato attraverso l’Appennino tosco emiliano, dopo aver perso l’Italia meridionale e centrale.
Il 1944 è ricordato per un grande evento: lo sbarco in Normandia. Il 6 giugno 1944 500 navi portano sulle spiagge di Cotentin i soldati di varie nazionalità guidati dal generale Eisenhower; morirono 6000 americani, 3000 inglesi e 1000 canadesi.
I russi si avvicinano dal fronte orientale, gli alleati riprendono possesso della Francia, che viene liberata il 24 agosto.
Il 2 settembre l’armata americana varca la frontiera del Belgio che in pochi giorni viene liberato.
Il 1945 rappresenta l’anno della vittoria per gli alleati: vengono occupate Colonia, Lipsia, Dusseldorf. Il 1 maggio si uccide Hitler insieme alla moglie e il 7 maggio viene firmato l’atto di resa della Germania.
Il Giappone, invece, nonostante diverse perdite, resisteva ad oltranza. Per questo si decide, dopo le incertezze del Presidente americano, l’utilizzo della bomba atomica.
Il 6 e il 10 agosto 1945 vengono sganciate le bombe su Nagasaki e Hiroshima. Così il governo giapponese chiede la fine delle ostilità e il 2 settembre fu firmato l’armistizio.
Durante la guerra l’atteggiamento della Germania fu negativo: milioni di uomini e donne vennero deportate nella terra tedesca per riattivare le grosse industrie, così la Germania ebbe un’impennata industriale non indifferente. Il culmine della potenza razziale fu però raggiunta con gli ebrei. Le leggi antiebraiche adottate in Germania, dopo l’avvento del nazismo, prevedevano la discriminazione ed ogni sorta di umiliazione. Dal 1940, con l’inizio della guerra, la situazione peggiorò: gli ebrei furono rinchiusi nei ghetti delle grandi città. I paesi dell’Est, popolati da molti ebrei, una volta realizzatasi l’occupazione nazista, furono teatro di deportazioni, fucilazioni, stermini di massa. Furono approntati campi di concentramento (Auschwitz, Dachau, Mauthausen) dove gli ebrei furono sottoposti alle più terribili crudeltà. Simile sorte toccò a molti tedeschi, quelli che secondo l’ex imbianchino, Hitler, non possedevano i requisiti fisici e mentali della razza ariana, coloro, quindi, che avrebbero impedito al popolo germanico di raggiungere la perfezione.
Il 27 gennaio, anniversario della liberazione dei reclusi sopravvissuti dal campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, viene commemorato nel mondo come “Giorno della Memoria”, in cui ricordare la Shoah.