Nelle ultime pagine del romanzo troviamo Vitangelo Moscarda nell’ospizio di mendicità, alla cui costruzione ha contribuito con i suoi averi; ha rinunciato anche al proprio nome, perché non vuole essere più nessuno
Partito dallo specchio, in quel suo inseguire se stesso ora Moscarda arriva al totale rifiuto della propria immagine e identità: non vuole avere più nessun nome, perché non vuole più essere nessuno. Può abbandonarsi al fluire libero e mutevole della «vita», una volta spezzata la prigionia di qualsiasi «forma» e, anche, della forza corrosiva del pensiero, responsabile delle false costruzioni mentali.
La pagina conclusiva del romanzo riassume il senso dell’ideologia pirandelliana, distruttiva nei confronti della società e critica fino al paradosso: il massimo di «nullità» finisce col coincidere con il massimo di libertà e di disponibilità dell’individuo verso una nuova dimensione spazio-temporale, fuori di ogni compagine sociale. La natura luogo mitico: senza identità né maschere. Il protagonista, anche se socialmente emarginato, dal punto di vista esistenziale trova finalmente appagamento nella gioiosa partecipazione alla vita della natura. Dalla coscienza della condizione anarchica dell’individuo Pirandello approda a una «surrealtà» dove diventa possibile la conciliazione fra la vita dolorosa dell’uomo e la natura: luogo incontaminato dalla civilizzazione, essa è vista come consolatrice e rigeneratrice. Vivere a contatto con la natura e dissolversi in essa, morendo e rinascendo a ogni attimo, come se si fosse senza memoria, significa esistere senza più identità né maschere. La costruzione sintattica atemporale I periodi brevi e nominali esprimono, in assenza di verbo (Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di jeri; del nome d’oggi, domani… Quest’albero, respiro trèmulo di foglie nuove… Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo, la fissità atemporale dell’essere naturale, senza passato, senza futuro, che rinasce a ogni istante e che esprime lo stare in qualche modo al di fuori e al di sopra della realtà.
La fusione con la natura può far pensare al panismo dannunziano di Alcyone, in effetti si può riconoscere nei due scrittori una comune matrice nell’irrazionalismo decadente. Per D’Annunzio la fusione panica è un’esperienza eccezionale, che può essere propria del superuomo, mentre per Pirandello è proposta come modello per ogni uomo che sappia rompere il meccanismo delle convenzioni sociali.